lunedì 23 marzo 2015

Quello che ci vuole

Oggi quello che ci vuole per la nostra stanca, martoriata Nazione è un "new deal".
Un nuovo corso, una svolta, proprio come volle il presidente americano Roosevelt all'indomani della Grande Depressione.
Quello che ci vuole in Italia è un inedito, ambizioso piano che getti le basi per la pacifica e prospera convivenza da qui ai prossimi trent'anni. Che impegni (tutte) le parti in un processo di convergenza sociale o, quantomeno, di dialogo costruttivo.
Ci vuole un accordo generale – fondato necessariamente sul compromesso – che da una parte salvaguardi uguaglianza e solidarietà sociale, e che dall'altra implementi meccanismi virtuosi basati su merito e competenza. Ci vuole un grande progetto per l'espansione economica e il progresso morale – sostenibile e innovativo allo stesso tempo – ideato con l'Europa e per l'Europa. Ci vuole quindi una scossa che ci costringa, una volta per tutte, ad uscire da quattro decadi di torpore civile e sette anni di stagnazione economica, durante i quali a guadagnarci sono stati solo le consorterie, gli spregiudicati e le cortigiane.
Ma come si fa a mettere in pratica un new deal? Da dove s’inizia? Chi deve fare il primo passo? Una risposta univoca non c’è. Se ci fosse, non saremmo in democrazia. Ma come Repubblicani possiamo, anzi dobbiamo, oggi come non mai, formulare una proposta concreta e realistica.
Che la questione investa molteplici aspetti è pacifico. C’è una sfera politica e una economica. E c’è anche una questione etico-morale, declinabile sia nel singolo individuo che nella collettività tutta. Ma la prima cosa da fare è decidere di gettare il cuore aldilà dell’ostacolo. E per farlo serve coraggio, un coraggio da leoni. Perché lasciare la strada vecchia e sicura per quella nuova e incerta è assai rischioso.
Poi serve fiducia. Tanta. Sia in se stessi che nelle istituzioni repubblicane. Ma ci vuole un governo forte, un parlamento lungimirante e un presidente saggio, non governi deboli, parlamenti pavidi e presidenti ostaggi. Gli effetti e i risultati della loro azioni (ed omissioni) sono sotto gli occhi di tutti. E il popolo è stufo, anzi nauseato da coloro che interpretano la politica come strategia, come opportunità di guadagno personale o di fazione o, peggio ancora, come occasione per colludere.

Quello che ci vuole è unità d'intenti, responsabilità e speranza, sia da parte del singolo cittadino che del gruppo d'interessi (partito, sindacato, associazione di categoria, ecc). Oggi più che mai! Perché se i partiti godono del minimo storico di fiducia (secondo l'ultimo rapporto ISTAT, solo cinque italiani su cento credono ancora nella loro utilità), allora è venuto meno quel prezioso patto tra governanti e governati – il patto sociale – ossia la spina dorsale di una moderna democrazia rappresentativa.

Cosa rischieremmo senza questo new deal? A seconda dei punti di vista, rischieremmo tutto oppure niente.
Rischieremmo tutto nella misura in cui riterremo che la nostra storia, la nostra Costituzione, i nostri valori, la nostra bellezza e ciò cui teniamo di più di questo straordinario Paese chiamato Italia non sia abbastanza importante da essere conservato, rispettato, coltivato, sviluppato. In una parola, amato. Rischieremmo tutto perché è del futuro nostro e delle persone a noi più care che stiamo parlando, sia in termini materiali (lavoro, benessere), che in termini intellettuali (istruzione), che in termini morali (felicità, senso di sicurezza, fiducia, speranza, educazione). Questo è ciò che ha nell'animo colui che definiamo “cittadino”, che può dire a testa alta: “Credo nel Paese, dunque sono un cittadino”.
Rischieremmo niente, invece, se preferiremo sopravvivere, se tireremo a campare, se non ci cureremo della cosa pubblica perché non c’è un contratto, una legge o un capo a imporcelo, se agiremo da ladri (ma anche da furbi, bugiardi, evasori, omertosi, conniventi, complici…) quando si presenterà l’occasione, se insomma sceglieremo il disimpegno, il tornaconto, l’irresponsabilità, l’illegalità. Questo è ciò che ha nell'animo colui che definiamo “suddito” che, nel migliore dei casi, dice: “Il mio Paese non m’interessa, dunque penso a me stesso”.
L’etica è una cosa seria. La tanto vituperata etica, ritenuta da molti appannaggio esclusivo di intellettuali e filosofi, trova applicazione nella nostra quotidianità nella misura in cui ognuno di noi sceglie di applicarla nelle piccole e grandi questioni. E un new deal – o programma di sviluppo nazionale che dir si voglia – non può prescindere dall'applicazione e dalla diffusione di principi cardine quali l’etica, la responsabilità e il coraggio. Se non riusciremo ad applicare questi principi, oltre che grandi idee, non riusciremo a risalire la china: scivoleremo piano piano sempre più giù, come nelle sabbie mobili, per poi soffocare.

Se ci riteniamo cittadini, prima ancora che Repubblicani, se crediamo che un new deal rappresenti davvero l’inizio del Terzo Risorgimento italiano, se siamo convinti che parole come Repubblica, libertà, associazione, federalismo, cooperazione, laicità, ecc. abbiano ancora valore e significato, e che ne vada del progresso, della libertà e della felicità del Paese, allora non possiamo tergiversare. Non si tratta di adempiere solo a un dovere, ma di essere degni del nome di cittadino.








Riccardo Tessarini
Consigliere Nazionale P.R.I.

Nessun commento:

Posta un commento